Premiére: LAC Lugano, 28 Febbraio 2023
di William Shakespeare
traduzione Federico Bellini
adattamento e regia Giovanni Ortoleva
con (in ordine alfabetico) Giuseppe Aceto, Alessandro Bandini, Michelangelo Dalisi, Giovanni Drago, Anna Manella, Alberto Marcello, Francesca Osso, Edoardo Sorgente, Aurora Spreafico
scene Paolo Di Benedetto
costumi Margherita Baldoni
luci Fabio Bozzetta
progetto sonoro Franco Visioli
assistente alla regia Alice Sinigaglia
assistente scenografo Andrea Colombo
direttore di scena e capo macchinista Stefano Orsini
capo elettricista e datore luci Fabio Bozzetta
fonico Nicola Sannino
sarta realizzatrice e di scena Margherita Platé
scene realizzate da Allestimenti Arianese srl
produzione LAC Lugano Arte e Cultura
in coproduzione con Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, Centro D’arte Contemporanea Teatro Carcano, Arca Azzurra
foto di scena Luca Del Pia
La dodicesima notte è totalmente dominata dall’amore: non si parla d’altro in Illiria, e di altro non si vuol sentir parlare (né cantare), né nelle case dei nobili né nelle bettole degli ubriachi. Eppure questi discorsi sono deliranti, bizzarri, violenti; le frequenti dichiarazioni deviano spesso dall’amato per tornare alla celebrazioni di sé; alla passione si associano frequentemente i termini della malattia, del martirio, della tortura; le canzoni hanno testi malinconici, spesso e volentieri mortiferi… Tutto questo fa pensare che La dodicesima notte non sia una commedia d’amore, come spesso viene detto, ma una commedia sull’amore, sull’ossessione per l’amore che diventa ideologia e quindi malattia della mente. Ogni personaggio è completamente assorbito dalla propria lovesickness: Orsino dalla propria passione virile, continua affermazione della propria potenza; Olivia dalla volontà di possesso e affermazione di rango; Malvolio dal self-love, amore di sé e volontà di realizzazione… Solo Viola sembra essere estranea a questo virus, e non è un caso che sia una straniera in Illiria, terra che rimanda in modo chiaro a illness (malattia) ed illusion (illusione). La terra dell’illusione, della malattia d’amore: the desperate kingdom of love.
L’Illiria però non è solo un sogno romantico. Sotto la coltre dei discorsi d’amore si nasconde una società classista, divisa in caste cui i personaggi fanno rapidi ma significativi accenni; come a qualcosa di cui non sta bene parlare, ma che determina i loro pensieri più dei concetti di spazio e tempo. Tanto che nella sua solitudine il cameriere Malvolio, vero protagonista tragico del testo, non sogna di unirsi fisicamente alla contessa Olivia, ma di “essere conte”; ciò che di osceno c’è nella sua fantasia non è quindi la conquista erotica, ma la scalata sociale, che un sistema di caste non può tollerare, e dunque punisce. L’amore, l’ideologia romantica, non sono che fumo negli occhi con cui difendere le divisioni di una società classista, in cui è più facile cambiare sesso che classe di appartenenza.
Ho scelto di togliere la magia e di mostrare le illusioni dell’Illiria, facendo interpretare i due gemelli Viola e Sebastiano allo stesso attore, utilizzando una traduzione radicale ma più fedele di quelle cui siamo abituati e una scenografia forte ma essenziale, e soprattutto lavorando con un gruppo di interpreti capaci di incarnare il testo. E infine ho annegato tutto nella musica, cantata e suonata da vivo dal fool Feste, che sicuramente più delle parole “facili da ribaltare come un guanto di capretto” può avvicinarci alla comprensione di questo mondo.
Giovanni Ortoleva
PRESS
“Non si poteva rendere meglio, con maggiore icasticità e plasticità, il tono di fondo de “La Dodicesima Notte”, ad un tempo beffardo, sorridente e disperato: in una parola, lo ripeto ancora, inesorabilmente ambiguo.”
Enrico Fiore, Controscena
“La dodicesima notte di Giovanni Ortoleva è un artefatto composto e disteso che rappresenta un microcosmo biologico quasi alieno e che si offre a più letture – in questo senso è veramente “quello che volete” – come una preziosa pietra di opale: femminile e maschile allo stesso tempo, lattescente e iridescente, colorata e bianca, stratificata ma anche liscia; una riflessione chiara sui linguaggi e le possibilità della viva scena e tuttavia un intricato “gnommero” verde acido, la cui tessitura diventa la trama astratta di sottofondo su cui l’intero spettacolo nasce e muore a ogni replica. ”
Leonardo Orlandini, Krapp’s Last Post
“Aiutato da una nuova traduzione di Federico Bellini, a più livelli e registri (riflesso di differenze sociali dei personaggi) Ortoleva dà parecchio ritmo ai rovesci, agli intrighi e ai contrasti, dando un timbro musical grazie anche alla ottima prestazione di Francesca Osso/Giullare Feste, che recita, canta e suona, al pianoforte.”
Mario de Santis, Huffington Post
” Uno spettacolo talmente fedele da apparire diverso, seguendo il filo di una traduzione che cerca l’asprezza e spigolosità sonora nascosta anche nella dolcezza della parola di seduzione che i protagonisti si lanciano l’uno contro l’altro, più che l’uno per l’altro. Una regia interessante, ultra-naturalistica a suggerire sintassi primo-novecentesche tra l’espressionismo e il surrealismo, che si avvale di una scenografia inusuale ma figurativamente stimolante e di costumi dal forte simbolismo, tra richiami al passato e segni dell’oggi.”
Maria Dolores Pesce, Rumorscena
“Gli applausi più scroscianti sono andati naturalmente ai giovani attori, capaci di reggere quella che in termini cinematografici si definirebbe “lungo piano-sequenza” e già capaci di rilevare un’invidiabile sincronia in questo esercizio dove dolore, strazio, amore, desiderio d’amare non danno tregua allo spettatore.”
Giovanni Medolago, La Regione
“Da notare innanzitutto il cast: l’esuberanza, la frizzantezza, le pennellate energiche con cui ciascun artista arricchisce il proprio personaggio sono intense, in grado di scatenare risate contagiose nei momenti clou della commedia. […] Sembrano leoni in gabbia: a tratti ciondolano annoiati, riposano nella vuota immobilità come burattini a riposo, in altri ostentano un’energia impaziente di riversarsi al di là delle sbarre invisibili che sembrano separarli dal pubblico.”
Marta Cristofanini, L’oca Critica